Spesso si sente dire:
Quel portiere ha tecnica!
Quel portiere tecnicamente è pronto!
Quel portiere esegue quel gesto tecnico alla perfezione!
Tutti commenti di uso comune per indicare un portiere che è di un livello superiore rispetto ai suo colleghi.
La tecnica esprime quindi un qualcosa che è stato fatto in un certo modo, in modo perfetto. Possiamo dire che la tecnica è:
Saper far qualcosa in un modo che all’occhio di chi ci osserva risulta ben fatto.
Come può essere valutata la tecnica? Chi può dire se un gesto è stato fatto nel modo più appropriato?
I parametri per esprimere un valore, un giudizio unanime, sono raggruppati nel modello prestativo di una data disciplina sportiva.
Questi parametri sono frutto di esperienze maturate sul campo (empirici) e avvalorate, supportate e confermate da studi riconosciuti dalla comunità scientifica.
Il ruolo dell’allenatore dei portieri in Italia si è sempre contraddistinto per la attitudine nel curare la tecnica.
Sappiamo veramente come insegnarla, eseguendo correttamente tutti gli step per far si che questo processo avvenga?
Proviamo a fare una progressione didattica per arrivare nel tempo ad essere definiti portieri tecnicamente validi.
Insegnare ad essere perfetti richiede tempo, tanto tempo. Un corretto schema motorio per essere acquisito definitivamente dal nostro sistema nervoso va ripetuto almeno cinquemila volte.
Da ciò deduciamo che il primo parametro prestativo per insegnare una buona tecnica è il volume, e cioè quanto tempo dedichiamo a quella gestualità tecnica.
La differenza tra la nuova generazione e quella passata è tutta nel quantitativo di volume dedicato nel fare qualcosa.
Un nuovo schema motorio per entrare e fissarsi nella memoria attraversa varie fasi:
– Il gesto motorio le prime volte verrà eseguito in maniera scoordinata (coordinazione grezza). In questa fase il portiere si preoccuperà più di finire l’esercizio che di apprenderlo. Gli errori sono innumerevoli, sarà poco efficace a livello motorio, ed il dispendio energetico sarà elevato anche per gestualità semplici. Si prosegue con prove ed errori con piccoli aggiustamenti da parte del tecnico.
– Il gesto viene ripetuto con costanza al fine di ridurre gli errori. Il dispendio energetico è inferiore così da permettere al portiere di concentrarsi di più sulla consapevolezza del gesto tecnico. Coordinazione fine.
– Ultimo step, lo schema motorio acquisito viene duplicato nel cervelletto che coordina le informazioni in maniera inconscia. La memoria conscia (encefalo) avvia il gesto tecnico, poi la continuità del gesto motorio viene affidata al cervelletto in maniera inconscia. Il movimento è eseguito totalmente in autonomia e l’atleta può così concentrarsi sulla scena intorno a lui, anticipare, prevedere, in modo da avere più tempo per decidere. E’ quella che si chiama “Maestria”. Si diventa il punto di riferimento di quella disciplina.
Il come insegnare gli step per arrivare a quanto scritto finora sono molteplici.
Vorrei solo ricordare che è il cervello che comanda i muscoli e non il contrario e che la coordinazione è una capacità “coordinata” dal sistema nervoso.
Gli stessi step apprenditivi poi devono assolutamente rispettare il modello prestativo (processi metabolici). Infine va precisato un concetto, ovvero la qualità dell’allenamento non è sancita dalla fatica percepita dalla singola serie, ma dal volume totale dell’allenamento.
Sappiamo che per insegnare la tecnica dobbiamo essere in “freschezza” mentale, allora mi domando perchè si continuano a vedere serie interminabili ed estenuanti con l’unico fine di far star male l’atleta?
Se alleno la tecnica devo allenare solo la tecnica, se alleno la forza devo allenare solo la forza.
Mr. LAFORTEZZA Francesco